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Il 6° Rapporto sul SSN della Fondazione GIMBE: la sanità deve essere per tutti

La Fondazione GIMBE ha presentato il 10 ottobre in Senato il 6° Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale, evidenziando come i suoi princìpi fondanti di universalità, uguaglianza ed equità siano stati ormai vergognosamente traditi.

Da anni, le associazioni che rappresentano i pazienti segnalano il rischio del progressivo depauperamento della sanità pubblica, invocando maggiori risorse per garantire il tempo e la qualità delle cure.

Il rapporto ha, infatti, evidenziato che dal 2010 al 2019, la spesa sanitaria pubblica è diminuita, portando a un accumulo di tagli di oltre 37 miliardi di euro. Anche durante la pandemia (2020-2022), l’incremento del finanziamento non ha portato a rafforzamenti strutturali del SSN.

La Legge di Bilancio 2023 ha previsto un risibile aumento del finanziamento, in realtà le previsioni mostrano una riduzione percentuale rispetto al PIL nei prossimi anni.

Grazie all’inadeguatezza e alla mancanza di lungimiranza e strategia della politica siamo di fronte ad un disastro sanitario epocale perché questa tragedia è figlia di uno scempio sanitario che viene da lontano, protratto colpevolmente nel tempo.

Un altro punto critico riguarda i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che non sono mai stati adeguatamente aggiornati, obiettivo ora realisticamente irraggiungibile.

Il Rapporto evidenzia le significative diseguaglianze tra le regioni italiane nella fornitura di servizi sanitari, che violano il principio di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. L’autonomia differenziata tra le regioni, se attuata, non farebbe che ampliare ulteriormente queste diseguaglianze regionali.

I bambini e i ragazzi che Ageop rappresenta si rivolgono esclusivamente al servizio sanitario nazionale. Essendo il cancro una patologia rara e complessa, i pazienti devono per forza afferire a strutture di alta specialità, perché necessitano di equipe multidisciplinari che solo il SSN e un grande policlinico come il Sant’Orsola possono garantire.

Noi siamo ovviamente preoccupati perché, al momento, stiamo tutelando con il nostro intervento economico i pazienti oncologici pediatrici, sopperendo ai disservizi e alla carenza di personale.

Stiamo sostenendo un enorme peso economico per finanziare contratti e garantire così diagnostica, assistenza, ricerca e sostegno psicologico. Carico che non potremmo continuare a sostenere a lungo. Finanziamo, raccogliendo donazioni come formichine, grazie al sostegno di volontari, genitori, sostenitori e aziende. MA NON BASTA.

L’unica sanità possibile per una patologia come il cancro è quella pubblica, capace di assicurare la cura della persona e non solo di erogare singole prestazioni o trattamenti volti a guarire una malattia.

La sanità pubblica è un sistema complesso, necessario sia per garantire la salute pubblica sia per sostenere la cura di ogni persona.

La privatizzazione della sanità induce un impoverimento economico dei cittadini e inaccettabili disuguaglianze di accesso alle cure. La privatizzazione è oltretutto onerosa per lo stato; se fossero stati destinati al SSN tutti gli investimenti fatti per convenzionare le strutture private (a caro prezzo) non saremmo a questo punto drammatico. E noi genitori non dovremmo arrancare con un macigno sulle spalle.

Un sistema privato sarà sempre meno democratico e più discriminante; poiché la struttura privata ha come obiettivo il profitto non potrà mai essere al servizio del cittadino. E non farà mai investimenti sulla prevenzione perché è controproducente, dato che guadagna sulla malattia. Essendo poi strutture private in competizione tra loro, non creano servizi di rete attorno al paziente.

La privatizzazione è contraria a qualsiasi logica di umanizzazione della medicina, non crea scuola e confronto, né quel progresso umano e professionale necessario per l’evoluzione della salute.

I tempi di attesa per accedere a esami e prestazioni, di cui tanto si parla non sono che un sintomo del problema che è ben più drammatico. Oltretutto la questione “code” alimenta lo spostamento verso una privatizzazione della sanità. Per accorciare i tempi e smaltire le code le regioni convenzionano centri privati ad un prezzo molto maggiore di quello che costerebbe a parità di prestazione il servizio pubblico. Spesa che incrementa i costi della sanità e riduce le possibilità di interventi. Se tutto il denaro speso per convenzionare e appaltare fosse stato investito in personale sanitario per il servizio pubblico non saremmo in queste condizioni.

Se non si focalizzano le scelte sul garantire l’equità di accesso alle cure per tutti i cittadini in tutte le regioni italiane, mantenendo la sostenibilità del sistema, la nostra democrazia è morta… oltre che la salute pubblica.